Giancarlo Restivo

Cari amici,

continuiamo il percorso di giudizio che abbiamo intrapreso quest’anno, da avvenimento in avvenimento, di passo in passo.

La rosa di circostanze che ci sono state poste dinanzi, ci chiedono un impegno e un coraggio non soliti e non trascurabili.

Abbiamo capito che le politiche di prestito bancario funzionano poco, che nel rapporto con le banche continuiamo a soffrire e che quindi la reale soluzione è aumentare le vendite dei nostri prodotti e servizi.

Pertanto, il dato che ci troviamo ad affrontare è la necessità di ampliare il mercato a cui ci rivolgiamo spingendoci nell’operatività verso l’estero per poter allargare il bacino d’utenza.

Come sempre, tentiamo di portarci alla memoria, che non ci sono ricette e non ci sono soluzioni standardizzate o standardizzabili, se non stare di fronte alla grande evidenza che bisogna ripartire dal presente.

Molti di noi stanno verificando l’esigenza di effettuare dei tagli strutturali per poter rimanere in piedi, non senza sofferenza e dolore e le riforme politiche in attuazione da gennaio di certo non ci aiuteranno, sopratutto nell’ambito occupazionale.

Ma la realtà è tutta qui? Tutto si riduce a questo?  Non nei termini dei rapporti che ci sono stati dati e non nella posizione culturale che intendiamo condividere.

Sì, perchè il punto di partenza tra noi sarà sempre il riaffermare un giudizio che non viene da noi, ma dalla tradizione dei nostri padri e delle nostre madri, dei nostri nonni e delle nostre nonne, che avevano un modo di fare affascinante e che ci ha permesso, non disdegnando la fatica, di ripartire nonostante due guerre mondiali, una dopo l’altra, che lasciavano in eredità le loro macerie.

Guardate che è questa la questione, ora come allora: ci troviamo come punto di partenza le macerie, di una guerra senza morti, invisibile per molti aspetti ma tangibilissima.

Ma quindi, i nostri padri, da dove sono partiti? Dove hanno trovato l’energia necessaria per girare la chiave e riaccendere il motore della propria vita? Cosa ci consegna il passato per stare di fronte a questo presente e con un futuro dalle prospettive inprevedibili? Cosa ha permesso ai nostri padri di stare in piedi di fronte alle tempeste della realtà?

In sintesi, si può vivere l’impresa della propria vita avendo negli occhi le macerie oppure si può avere gli occhi pieni di altro? E’ una bella sfida cari amici, ma abbiamo il Natale di fronte e non possiamo rimanerne indifferenti.

Che c’entra il Natale? C’entra perchè ci ricorda che nella vita bisogna sempre ripartire e che, a un certo punto, anche tutta la storia si è azzerata, è accaduto un evento per cui tutto si è azzerato ed è ripartito; tutti, fallegnami e artigiani, governatori e re, religiosi e atei, tutti sono dovuti stare di fronte a quel fatto.

Quale fatto? Al fatto che se la vita riparte, riparte perchè c’è chi soffre per te, eh sì, la vita riparte dal desiderio di chi ci ha preceduto e si è accollato di sporcarsi le mani e di soffrire, e solo perchè noi potessimo avere un presente.

Senza calcoli, senza una situazione agiata, senza comodità, senza prospettive certe di un futuro, ma un asino e un bue al massimo.

Non è uno scherzo, è la coscienza di una tradizione che rischiamo di perdere, ma che ha permesso ai nostri nonni di essere uomini di fronte alle macerie della guerra.

Capita molto spesso di dircelo, che il contenuto della vita è la fatica, ma che il problema non è la “fatica”, perchè per alcune cose la fatica non si sente nemmeno, a riprova che il problema non è questo.

Ma il fatto che dal primo minuto del mattino in cui siamo svegli all’ultimo, la notte prima di addormentarsi, la “fatica” ci pone una sfida, mettendoci di fronte una domanda: ne vale la pena? Allora lì è una questione di ragione.

Perchè ci vuole una risposta grande per star di fronte ad una domanda così, ad una sfida così.

Ci vuole una ragione che abbia la statura di quella domanda: ne vale la pena? Questa affermazione sfida tutta la nostra pseudo-modernità, che ha come orizzonte la tranquillità, il non avere pensieri, il non far fatica per nulla.

Successo senza gavetta, guadagno senza impegno, reality show senza realtà.

Ma “porro unum est necessarium” e se non ci credete andate a rivedere il film City Slickers del 1991 che fa vedere proprio questa cosa.

Avere come orizzonte la “tranquillità” ci ha strappato via il gusto della vita. Perchè stiamo di fronte ai figli e vorremmo stare da un’altra parte.

Stiamo di fronte alla moglie, al capo, ai dipendenti a tutto, ma volendo stare dove è più “comodo”.

Così, però, non gustiamo dei figli, della moglie, del capo, dei dipendenti, di tutto, e ci perdiamo il meglio, ci perdiamo il tempo della vita, e come dice Pezzali ne “Gli anni”: <<Il  tempo passa per tutti lo sai, nessuno indietro lo riporterà neppure noi>> e non ci resta che il cinismo conseguente, lo scetticismo e il cinismo da vagabondi; quindi, in ultimo, il lamento. Abbiamo preso il gusto di ciò che c’è e lo abbiamo sostituito con ipotesi illusive.

Ma non c’è ragione più grande per ripartire di questa. Che il presente è la cosa per cui vale la pena vivere, fare impresa, fare famiglia, mettere al mondo dei figli.

Come in quel film sul Kung Fu della Dreamworks nel 2008: <<Ti preoccupi troppo per ciò che era e ciò che sarà.

C’è un detto: ieri è storia, domani è un mistero, ma oggi… è un dono. Per questo si chiama presente>>.

Stare svegli nel presente, perchè è il tempo in cui possiamo spenderci fino in fondo.

Mi dicono che un Presidente non dovrebbe esprimersi così e fare analisi “tecniche”.

Le analisi “tecniche” hanno come presupposto una concezione antroplogica, una posizione di tipo culturale di ciò che può realizzare o meno il nostro desiderio felicità.

Quindi se si deve tentare di correggere il tiro, non bisogna partire da analisi “tecniche” ma da un giudizio e l’unico giudizio che può far veramente giustizia è quello legato ad un’esperienza.

Per questo come Nuova Organizzazione d’Imprese insisteremo su questo punto.

Abbiamo creato il servizio NOIsocial per pubblicizzare le nostre imprese associate alle 31000 aziende con cui siamo in contatto, abbiamo creato il servizio informativo di ricollocamento lavorativo NOIlavoro e supportato le nostre cooperative sociali nell’aiutare a trovare lavoro a moltissime persone; col GruppoNOI abbiamo trovato investitori esteri disposti ad impegnarsi e a rischiare con le PMI italiane, con l’ENTERPRISE siamo arrivati in mercati poco plausibili per molti.

Cosa ci ha permesso di fare tutto questo? Un riconoscimento, non un fare, ma il fatto che abbiamo riconosciuto che la realtà è positiva perchè c’è, ci è stata messa davanti il giorno in cui siamo stati partoriti.

Da quel giorno la realtà per noi c’è e aspetta di essere trattata con quel primo sentimento che ha suscitato in noi, non sul secondo.

Il primo sentimento che la realtà ci ha suscitato è lo stupore, un attimo dopo ecco la paura. Poniamo sempre l’accento su questo secondo sentimento, le nostre giornate sono determinate dalla paura. La paura che, siccome è tutto più grande di noi, non avremo mai il controllo di tutto, e questo ci fa sentire sconfitti.

In fondo, il Governo deciderà senza il nostro parere, in fondo i Giudici sono politicizzati, in fondo i Politici non abbasseranno mai le tasse, in fondo.. in fondo…

Ma il primo sentimento, quello originale, che se stessimo più spesso di fronte ai figli impareremmo di nuovo, è quell’essere spalancati, è lo stupore.

La realtà ci chiede di essere vissuta con stupore, per provare gusto, per ripartire. Una madre partorisce con dolore, per stupirsi dello stupore degli occhi del proprio figlio e quindi ripartire ed affermare, senza più ricordarsi del dolore provato: ne vale la pena!

Questo sguardo è quello che ci auguriamo per il nuovo anno, come dice Gaber nella canzone che abbiamo scelto come manifesto: <<L’appartenenza non è lo sforzo di un civile stare insieme>>; l’appartenenza non è uno sforzo, un impegno serio col presente non verrà da uno sforzo, ma sarà frutto di un riconoscimento, che dentro la realtà abbiamo una tradizione da cui attingere, da cui trarre le certezze per poter ripartire; fortunatamente, nonostante ce lo vogliano nascondere, abbiamo avuto dei padri.

Il nostro impegno partirà da qui, dall’affermare quell’insieme di valori e di certezze che i nostri Padri ci hanno consegnato. Sessantacinque anni fa, il 22 dicembre del 1947, quando è stata firmata la Costituzione Italiana, dimenticata da molti.

Da questo mese partirà una campagna sul web, di diffusione della conoscenza degli articoli della nostra Costituzione, promossa dalla N.O.I. e sostenuta dalla C.I.F.A., la nostra confederazione, in concerto con altre associazioni partner come l’AiFOS, l’ASP etc.

In un periodo in cui l’emergenza educativa, la crisi economica, la confusione politica, la mancanza di fiducia, la violenza nei rapporti, l’esasperazione della vita sociale, segnano dolorosamente le nostre giornate, ci sentiamo di riaffermare alcune “certezze” fondamentali, affinchè tutti possiamo affrontare le circostanze da uomini certi, quindi adulti.

Ne sentiamo l’obbligo morale, per il debito che abbiamo nei confronti delle generazioni passate che ci hanno aperto alla possibilità di un presente.

Bernardo di Chartres ha affermato che <<siamo come nani sulle spalle di giganti, così che possiamo vedere più cose di loro e più lontane, non certo per l’altezza del nostro corpo, ma perché siamo sollevati e portati in alto dalla statura dei giganti>>.

Noi siamo innanzitutto uomini e il principio personalista, espresso dall’art.2 della nostra Costituzione, sancisce che <<la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo>>.

Questi diritti sono considerati diritti naturali, non creati giuridicamente dallo Stato ma ad esso preesistenti. Tale interpretazione, non è un caso, è riferita alla parola “riconoscere” che implica la preesistenza di un qualcosa. Innazitutto uomini, presenti nel presente.

Un caro saluto

Giancarlo Restivo

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