Oggi, dire “templare” non evoca più il profumo d’incenso, la tensione della preghiera o il sacrificio di uomini consacrati a Dio e alla giustizia. No. Nell’immaginario collettivo, ormai, questo nome suona come un feticcio usurato, impregnato di simbolismi esoterici, mistificazioni massoniche, velleità da romanzo fantasy e un triste bisogno di apparire.
È un paradosso: il nome che un tempo faceva tremare gli infedeli oggi fa sorridere i credenti. La parola “templare” è stata trasformata in un travestimento, in una parodia da social, in un’illusione identitaria per chi cerca titoli senza contenuto. E la Chiesa? Come sempre, rimane realista, consapevole: dietro certe vesti eleganti e solenni spesso si nascondono solo delle solitudini in cerca di senso, anziani che non hanno mai trovato un posto nella società e ora si aggrappano a mantelli e spade come a un riscatto tardivo.
Ci troviamo di fronte a un porno-fantasy esistenziale: immagini photoshoppate di cavalieri in posa, saluti da boomer, spiritualità ridotta a meme, e gruppi Facebook che salutano come fratelli ma vivono da estranei. E tutto questo sarebbe cavalleria? Tutto questo avrebbe a che fare con Cristo?
Ma la verità è più profonda, più drammatica: non ci si salva con un mantello addosso, né indossando un simbolo sacro, se il cuore rimane indifferente. Non basta un titolo cavalleresco per accedere ai sacramenti, non basta un rito per risanare tradimenti, famiglie spezzate, vite disordinate. La salvezza non viene dall’immagine, ma dall’incontro con Cristo vivo.
Eppure — proprio in mezzo a questo caos — forse c’è ancora un germe di speranza. Perché la Chiesa è madre, è rifugio, è ospedale da campo per chi si è perso e desidera ritrovarsi. E allora ci chiediamo: può esistere una forma di cavalleria templare che si lasci davvero giudicare dal Vangelo? Che provi a prendere sul serio la cavalleria, non come nostalgico cosplay spirituale, ma come vocazione autentica?
In fondo a questo scenario desolato, brilla un piccolo segno: un’associazione semplice, senza nobiltà, senza fasti, ma con una dignità silenziosa. Li trovi lì, nei fine settimana giubilari a Roma, accanto alle Porte Sante, tra i volontari che aiutano, accolgono, servono. Non si fanno notare se non per il fatto che sono lì, ma ci sono. Hanno subito esclusioni, attacchi, ma non si sono mossi. Resistono.
Sono battezzati, magari usciti feriti dalle contraddizioni del templarismo esoterico, ma hanno cercato una via diversa. Hanno accettato la guida di buoni sacerdoti. Hanno detto “sì” quando c’era da fare sul serio. Non hanno grandi mezzi, ma si aiutano. Sono perlopiù anziani che camminano ancora e giovani che vogliono essere migliori. Sono poveri, ma credono.
E quest’anno hanno celebrato il loro piccolo giubileo. Non per esibizione, ma per gratitudine. Hanno un nome anch’esso semplice, senza sigle altisonanti — Templari Oggi — e stanno cercando una forma nuova. Forse quella vera. Una cavalleria senza medaglie, ma con cuori feriti e redenti. La cavalleria della gente. La cavalleria della croce.
Forse vale la pena conoscerli, senza pregiudizi. Forse tra loro si nascondono uomini e donne che tentano di amare sul serio, che cercano la verità, che lottano contro sé stessi per somigliare almeno un po’ al Cavaliere per eccellenza: Cristo. Forse in loro c’è il germe di una cavalleria cristiana come quella che il Papa vuole che gli ordini riconosciuti riscoprano, che smette di travestirsi da cavaliere e comincia, con umiltà, a esserlo davvero.
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Critica all’esoterismo e ai falsi ordini templari
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Cavalleria cristiana e spiritualità
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