Negli ultimi giorni mi sono trovato a studiare sovente con delle amiche musulmane di nazionalità albanese. Come dicevo “delle amiche”. Un’amicizia nata dalla condivisione dello studio. In un momento di pausa nel cortile dell’università avevo con me uno dei libri di testo dell’esame di sistemi giuridici comparati “Lo spirito dei diritti religiosi – ebraismo, cristianesimo e islam a confronto” di Silvio Ferrari. Mentre sfogliavo le ultime pagine lette in mattinata, la mia attenzione si fissa su delle constatazioni che l’autore fa a pagina 140 di quel libro: ”…ha lasciato campo libero che si dispiegasse tra i giuristi l’influsso della dottrina di al-Ash’ari, secondo cui la giustizia <<non è altro che la manifestazione della Volontà Divina – se un atto è comandato da Dio, esso deve essere giusto e se proibito deve essere ingiusto. In altre parole, l’unico modo per un uomo di conoscere se un atto è giusto o ingiusto è quello di valutare se esso è permesso o proibito dalla legge>>. In applicazione di questa dottrina la maggior parte dei giuristi musulmani nega sia la capacità degli uomini vissuti prima della rivelazione di scoprire la legge divina attraverso la ragione sia la possibilità di utilizzare quest’ultima come strumento per individuare le regole di comportamento nei casi in cui il diritto rivelato non fornisca nessuna indicazione. Questa dottrina che nega la capacità della ragione umana di distinguere il bene dal male e quindi di attingere a qualche forma – seppur imperfetta – di conoscenza del diritto naturale…”.

Stupito dalle affermazioni lette ho chiesto a due delle amiche che erano lì con me in quel momento se quelle cose fossero vere nella loro esperienza.

Una si chiama Leda, frequenta il secondo anno di scienze dell’amministrazione, e se non ricordo male mi ha detto di provenire da Valona, l’altra mia amica invece si chiama Elda e francamente non so proprio da quale città provenga, so solo che è un intima amica di Leda, Esma e Manuela che sono le ragazze sue connazionali con cui normalmente mi ritrovo. Leda è una ragazza molto sensibile e insicura, Elda è invece un tipo non poco estroverso, frequenta comunicazione e società e infatti dà grande prova delle sue doti comunicative attraverso la sua simpatia quando siamo assieme.

Alla mia domanda inaspettatamente risponde per prima Leda che normalmente e la più silenziosa tra tutte: ”Non è affatto vera questa cosa, io non faccio le cose perché sono scritte nel corano, le faccio perché le sento vere. Io capisco che magari i teologi dicano altro, ma io ho sempre fatto così e lo sentirei disumano se fosse altrimenti” , fu tanto chiara e decisa la risposta di Leda che mi fermai a riflettere, ma non ero preparato a quello che sarebbe accaduto dopo. Incalzò Elda: “Guarda Leda che noi siamo più cristiane di quanto tu possa immaginare! Noi siamo musulmane perché c’è stato imposto quando sono arrivati i turchi a conquistare le nostre terre, ma noi eravamo cristiani, infatti mia madre è musulmana ma va a messa e anch’io vado con lei“ , quelle parole mi spiazzarono completamente, primo perché non immaginavo nemmeno lontanamente la coscienza storica di Elda, e secondo avevo davanti due musulmane che stavano confermando – che attraverso l’uso della ragione – può avvenire un lavoro di verifica della propria tradizione. Ed era un avvenimento che contrastava fortemente con le affermazioni del libro lette poco prima, dato che una verifica è possibile solo se c’è una misura, un termine di paragone e loro stavano dimostrando di averlo.

Giancarlo Restivo, Scienze Politiche

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